La vita è bella anche quando sputa
La vita è bella anche quando sputa

periferia: un “non luogo” interiore

Ambienti assolati nei mesi estivi, coperti da asfalto nero, aiuole verdi con pochi fiori e odore di carne alla brace. Il silenzio esplode, in certi pomeriggi d’estate, fra i quartieri dove abito e le case accavallate, le une sulle altre, sono contenitori di anime, anzi, prigioni di anime inconsapevolmente prigioniere. I televisori accesi ad alto volume disperdono nell’aria notizie da campionato di calcio o musiche da talk show e qualche risata ogni tanto ne fa da eco, mentre, nell’erba di qualche aiuola superstite, scampata alla furia costruttrice, una lucertola guizza via spaventata da qualcosa.

La periferia in cui abito (abitiamo) potrebbe essere ben rappresentata da una immagine simile e non solo: Casandrino, Grumo Nevano, Sant’Antimo, Frattamaggiore, ma anche Arzano, Casoria, Afragola, Casalnovo, Acerra, Caivano, tutti paesi che si intrecciano e si respingono, legati da strade spontaneamente cresciute nei secoli e imbottiti di case, tante case di cemento e di tufo, che si guardano e si schivano coesistendo in una dimensione soffocante.

Eppure, anche in contesti periferici cosi anonimi, è possibile cogliere fra le righe momenti piacevoli indipendentemente dal contesto geografico. A tal proposito, mi capita spesso di vivere esperienze quasi meditative, semplicemente restando seduto sulla mia panchina bianca di plastica che tengo fuori al balcone. Nelle prime ore del pomeriggio quando il tempo lo permette, mi metto volentieri al sole in ascolto di ciò che accade intorno.

Sembra folle dirlo ma quei minuti, così vissuti, dentro la periferia scassata, sono gradevoli e mi pare di stare altrove. In fondo, mi dico: “in qualsiasi parte del mondo il sole è sempre quello”. Ma per vederci del bello, in queste orride costellazioni, è necessario compiere un’operazione selettiva che esclude il brutto. E non è facile. Si tratta di tapparsi naso, occhi e orecchie e addentrarsi in una specie di realtà parziale.

Esiste anche un’altro modo per adattarsi al brutto che nulla a che fare con la capacità di estrapolare il buono dall’ammasso riluttante. Sto parlando di indolenza. Chi ne è affetto o provvisto, solitamente è allergico all’indignazione altrui e ignaro di quella propria, anzi, non conosce assolutamente in quale punto del corpo possa abitare la sua animosità. Vedere con chiarezza presuppone il coraggio di saper sostenere il dolore che una brutta visione può comportare. Dormire è più comodo e ci fa simili ai gatti sazi di pesce (animali che adoro come i cani) tenendoci lontani dalla responsabilità di agire. Usare gli occhi, invece, ci trasforma in tori rossi ma si preferisce affidare le braccia flosce alla forza di gravità risparmiando la fatica. La fatica fa male.

Ho incontrato – e incontro ancora – troppe persone anestetizzate che con l’esercizio del menefreghismo si sono guadagnate l’immunità allo squallore. 

Quelli che invece occupano posti nell’olimpo amministrativo sanno fare ancora meglio: scendere a patti con l’inferno in cui vivono. 

Mi sono convito, dunque, che la parola “periferia” oltre a in
dicare un luogo fisico violento e violentato debba individuare un “luogo interiore”,
una mentalità, un modo di pensare al mondo: una dimensione mentale fatta di sentimenti, emozioni, speranze e aspettative inevase e dove le argomentazioni vengono soltanto sfiorate e mai approfondite, nascendo e morendo sotto forma di stereotipi.

Periferico è chi non ha più idee da mettere in circolo, chi pensa che la realtà sia una rappresentazione statica dell’esistenza al pari di una fotografia o di un quadro. Periferico è chi, godendo nella propria malavoglia, sfodera frasi fatte esibendo ragionamenti apparentemente sensati ma inzuppati nella ciotola della sfiducia: “inutile darsi da fare … tanto non cambierà mai nulla”.

Tuttavia i fiori crescono ancora, anche, negli angol
i sporchi dei marciapiedi e ci regalano continuamente quello che hanno da offrire. Ma allora da dove nasce questo sentimento di sfiducia che uccide gran parte della creatività umana? Francamente non so rispondere a questa domanda e preferisco evitare opinioni carenti di adeguata analisi. Mi basta sapere che questo pensiero esiste ed è molto radicato.

Chi si impegna socialmente o politicamente (le due cose sono una) animato da sincera volontà dovrà mettere in conto che l’ottimismo portato in dote all’entusiasmo iniziale, potrà rischiare il depauperamento.

L’impatto con la mentalità della sfiducia, i cui portatori sani, il più delle volte, sono insospettabili in buona fede (l’amico di sempre, un padre, una madre, un fratello ecc..), potrebbe trasmetterci il virus della discordia. Sarà necessario portare l’antidoto sempre in tasca: occhi aperti, lucida visione e tanta pazienza.

 

© Andrea Auletta

 

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