La vita è bella anche quando sputa
La vita è bella anche quando sputa

Diego Armando Maradona – Una persona non è un personaggio.

Ero incerto se scrivere o meno questo articolo. L’incertezza c’è sempre quando si vuole esprimere un pensiero differente dalla sommatoria dei pensieri di quasi tutti gli altri. Il rischio è quello di essere fraintesi. E il timore insinuato nel fondo, poi, riguarda il sentirsi accettati o meno, conformati o meno alle opinioni della folla. Ma la peculiarità di un individuo risiede nel coraggio di esprimere il proprio pensiero dissonante. 

Quindi, dopo qualche esitazione, ho deciso di farlo. Ed eccomi qua a parlare di Diego Armando Maradona, o meglio della sua scomparsa. Mi fa strano scrivere di lui, non ho mai seguito e non mi piace il calcio, non mi sono mai appassionato a un qualsiasi altro sport, e poi rifiuto totalmente l’atteggiamento “da tifosi” per qualunque cose venga esternato. Ciò non mi impedisce di apprezzare la bravura e il talento. Sono ammirato per certi goal, vedere un uomo muoversi con destrezza in mezzo ad un campo di calcio fa anche a me un certo effetto. 

Ma ciò che non mi stimola e non apprezzo mai è l’idolatria. Sia chiaro, anche io amo alcuni Personaggi, ad esempio i Beatles, in particolare John Lennon. Non amo solo le loro canzoni ma sento una specie di (insana) simpatia per quei Quattro Ragazzi e so che è anomalo tutto ciò. Innanzitutto perché, quei “Quattro Ragazzi”, non li ho mai conosciuti personalmente. E poi perché oggi non esistono più: John e George sono ormai passati da anni a migliore vita; Paul e Ringo, invece, sono stati cambiati dal tempo diventando due dinamici nonnetti. 

Ma dicevo, l’idolatria è qualcosa di diverso dall’ammirazione. E per cercare di comprendere più affondo lo stato emotivo di chi adesso si sente psicologicamente a terra per la morte del grande calciatore argentino – per la morte di qualcuno che ha visto solo in tv o allo stadio, e che in realtà non conosce affatto – ho immaginato la morte di Paul McCartney, di un personaggio, diciamo così, a me molto “familiare”. Intendiamoci, gli auguro di vivere altri cento anni e lo faccio egoisticamente, la sua presenza nel mondo in qualche maniera mi conforta.

Ma quand’è che ho incontrato Paul? Quand’è stata l’ultima volta che ci siamo presi un caffè insieme? Non mi pare di ricordare di avergli telefonato di recente, e nemmeno lui mi ha chiamato per dirmi: «Ciao, Andrea, ho saputo che hai avuto il covid… Come te la passi adesso?». Chiaramente me lo avrebbe detto in inglese ma non so scrivere in quella lingua. 

La risposta, ovviamente è: Mai!

Non l’ho mai visto da vicino, non ho mai parlato con lui. E anche se avessi avuto l’occasione di farlo (circostanza che mi auguro in futuro) non saprei in quale modo comunicare con un inglese – ma questo, forse, è un aspetto marginale, ci sono altri modi per comunicare a prescindere dall’uso della parola. E quindi, se McCartney (corna facendo) passasse a miglior vita, quale tipo di legame reciso dalla morte potrebbe mai condurmi ad uno stato depressivo o di forte disperazione? 

Conoscendomi sarei molto dispiaciuto, lo ammetto, però manterrei un adeguato distacco. Di certo continuerei a lavorare come sempre, continuerei a scrivere, anche in quell’ipotetico giorno luttuoso. Sicuramente scriverei un profondo articolo dedicato a lui da pubblicare sul Blog “Arte Insonne“. Ma sostanzialmente la mia emotività rimarrebbe solida (per quanto possa dire di essere una persona solida, ho dei dubbi). E non si tratta di freddezza, non sono anaffettivo, anzi, tutt’altro. Il fatto è che la morte ipotizzata di un Paul McCartney o la morte reale di un Diego Armando Maradona non può suscitare in me lo stesso dispiacere provato per la scomparsa di un essere umano verso cui nutro un reale affetto. A meno che non ignori il significato di questa parola e non è il mio caso. 

L’affetto non è qualcosa che si dispensa a caso ma si costruisce con la condivisione della vita. L’affetto ha bisogno di odori, di tempo, di compresenza in uno stesso luogo, di prossimità e di compenetrazione. Ecco perché chi prova un reale affetto non può disperarsi per la morte di una persona talmente distante e in alto da essere, in realtà, un Personaggio. Un Personaggio non è una Persona, sono due cose diverse. 

E allora per cosa si disperano tutti quelli che oggi non hanno voglia nemmeno di parlare a causa del dolore?

Forse il motivo va ricercato nell’identificazione con un ideale incarnato dal “Personaggio“. In realtà, chi piange Maradona, sta piangendo la scomparsa di un simbolo capace di riscattarlo da una condizione, in un modo o in un altro, frustrante. Piange perché non può più aggrapparsi a quell’ideale vittorioso mostrato in carne ed ossa nelle fattezze di un uomo. Piange e si dispera per se stesso? … 

(© Andrea Auletta)

 

 

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