I disegnatori di graffiti, un po’ poeti e un po’ nostalgici, imbrattano i muri delle città o delle periferie, danno un tocco di colore proprio a quei luoghi dove il grigio è noiosamente imponente. Non importa se si tratti di una parete di una casa, di una chiesa o di un qualsiasi altro edifici, quel che conta è che sia abbastanza grigio e triste da accogliere un pensiero o un’immagine che ha a che fare con la speranza.
Vado spesso in giro con il mio amico cane al seguito, esplorando i dintorni della “periferia scassata” di Napoli dove, ahimè, vivo. A dire il vero faccio sempre lo stesso percorso ma ogni volta mi appare diverso. Sia perché la luce del sole che taglia i contorni delle case o che si distende sulle aiuole, le strade, i marciapiedi, è sempre diversa e nuova; sia perché si aggiunge spesso qualche scritta o qualche tocco di colore in più fra i graffiti.
È bello pensare allo spazio, al mondo, come un organismo che muta di continuo, quasi respirasse. E quei graffiti, quelle scritte, qui colori, hanno qualcosa di poetico, di certo la voglia di comunicare, di urlare, come se le pareti fossero la bacheche del grande condominio cittadino, oppure quella di un social network.
“Ti amo”, c’è scritto da qualche parte e mi viene da pensare: “A chi mai sarà rivolta quella frase che resterà, probabilmente, anonima al suo destinatario?”. “Forse l’oggetto d’amore dell’autore o dell’autrice, l’avrà letta chissà quante volte passando da quelle parti senza nemmeno immaginare che quel “ti amo” gli appartiene”.
Mi pace immaginare l’ora in cui quella confessione interiore d’amore è stato scritta sul muro. Magri sarà stato il frutto dell’entusiasmo di un momento espresso in una noiosa sera d’inverno, di domenica, forse. Qualcuno, per dire, dopo aver fumato una sigaretta o una canna con gli amici, proprio su quel muro, ad un certo punto ha voluto fissare il suo pensiero. Oppure sarà stato d’estate, chissà, nel dopo cena di un giorno qualunque, quando si esce per la strada con la voglia di respirare un’aria fresca – negata dalle polveri sottili dei fuochi – nel bel mezzo di una torrida giornata appena scorsa e troppo afosa. Forse l’autore è un adolescente (è probabile) aggredito dalla bellezza degli ormoni che nel bel mezzo di una crisi ha sputato a tutti, sopra il muro, il segno di un orgasmo desiderato, così, con spontaneità, come a lanciare nel mare una bottiglia con dentro un biglietto, sperando che qualcuno poi colga quel messaggio.
In ogni caso, a prescindere da tutti i motivi che possiamo ipotizzare, i poeti improvvisati, gli scrittori e gli artisti di pareti, sono semplicemente quel primitivo dentro di noi, addormentato ma ancora vivo.
Accade anche ai cani, specie animale ormai addomesticata da millenni: sentendo una sirena cominciano a ululare. Basta un attimo per svelare il lupo nascosto sotto le sembianze più o meno bizzarre di razze selezionate dall’uomo e dal tempo e che sembrano, in tanti casi, dei pupazzi. A colpo d’occhio, pensare che in un barboncino o in un maltese vi sia il lupo, risulta davvero difficile e invece, là dentro, il “selvaggio” è vivo e vegeto e si fa sentire quando il “mondo altro”, quel mondo ancestrale talmente ampio da avvolgere la nostra sofisticata dimensione, urla forte, richiamando a sé l’essenza, l’alito divino eternamente presente. E proprio come i cani che ululano, noi “sporchiamo” i muri, con lo stesso istinto con cui i primitivi lasciavano segni del loro essere vivi sulle pareti rocciose delle caverne.
Galleria delle foto
[ngg src=”galleries” ids=”7″ display=”basic_thumbnail” number_of_columns=”4″ display_view=”default-view.php”](ph. © andrea auletta)
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